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La fine del Rinascimento: il Sacco di Roma del 1527

“Il 6 maggio 1527, un formidabile esercito imperiale composto da quasi trentamila mercenari spagnoli, tedeschi e italiani prese Roma d’assalto.
Da troppo tempo i soldati non erano pagati, erano rabbiosi e affamati, e privi di comando. Sfondarono le resistenze improvvisare dai romani e saccheggiarono la città per tre mesi consecutivi, occupandola per un anno intero.
Durante il lungo Sacco, i soldati violentarono le giovani vergini e le vecchie matrone, le donne sposate e le e le suore che avevano fatto voto di castità. Torturarono gli uomini che potevano pagare un riscatto: dai commercianti ai banchieri, dai nobili agli ecclesiastici, moli dei quali morirono dopo aver pagato più volte. Appiccarono il fuoco alle case e alle chiese. Rubarono una quantità eccezionale di oggetti preziosi e opere d’arte. Distrussero gli articolo sacri e i paramenti, sfregiarono io crocefissi, calpestarono le reliquie e le eucarestie, aprirono le tombe dei cardinali, gettarono nel Tevere gli ammalati dell’Ospedale di Santo Spirito e i neonati nei falò in cui bruciavano i libri e i registri della Chiesa. Per mesi le strade di Roma furono insanguinate e piene di cadaveri divorati dai cani. Durante i mesi torridi dell’estate del 1527, una feroce epidemia di peste si portò via buona parte della popolazione rimasta e dei soldati.
La calamità mise fine alla fase più brillante del Rinascimento e segnò l’inizio della Controriforma, in cui presero il sopravvento i puristi della religione e gli inquisitori del pensiero.” Tratto da “Vita di Pantasilea” di Luca Romano.

Nel 1526, la Francia di Francesco I e il Sacro Romano Impero di Carlo V si scontrarono in una guerra per il predominio sull’Italia. Il conflitto terminò con la vittoria degli imperiali a Pavia, alla quale seguì la stipulazione del Trattato di Madrid, con cui il re di Francia si impegnava a rinunciare ad ogni pretesa di conquista sulla penisola.
Subito dopo la firma, però, Francesco I violò il trattato, creando la Lega di Cognac ai danni dell’Imperatore, in accordo con Roma, Milano, Venezia, Firenze e Genova. Con tale alleanza, papa Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici, tentò di evitare che Carlo V riuscisse a governare l’Italia intera. Inoltre, a seguito della riforma religiosa voluta da Martin Lutero, nei paesi di Germania, Austria e Svizzera, si diffuse un odio nei confronti di Roma e del papato, considerati simboli di vizio e corruzione.
Nel settembre del 1526, l’Imperatore tentò di ottenere la fiducia del Papa per consolidare le proprie conquiste nel nord Italia, ma Clemente rifiutò, scatenando l’ira della famiglia Colonna, braccio armato dell’Impero: nella notte tra il 19 e il 20 settembre, truppe mercenarie al soldo della famiglia perpetrarono stupri, saccheggi e stragi a Roma.
A seguito di questi fatti, il Papa negoziò la tregua con Carlo V, impegnandosi a sciogliere la Lega di Cognac, in cambio della cessazione delle ostilità. Nonostante l’abbandono della città da parte dei soldati, però, Clemente VII non rispettò gli accordi e chiese aiuto al re di Francia, Francesco I.
Carlo V, tradito, ordinò così l’intervento armato contro Roma. Nell’inverno del 1526, il generale Georg Von Frunderberg reclutò dodicimila lanzichenecchi, i soldati mercenari più temuti e spietati, e scese verso Mantova, dopo essere stato respinto a Milano. Arrivato a Governolo trovò l’intrepido Giovanni dalle Bande Nere ad opporlo; il coraggio del condottiero italiano, però, non riuscì a fermare la calata dei lanzichenecchi: il tentativo di fermarli gli costò la vita e la sua sconfitta permise all’esercito straniero di proseguire verso Roma. Lungo il cammino, le truppe dei lanzichenecchi furono raggiunte da soldati spagnoli e da alcuni mercenari italiani che si arruolarono nelle loro file.
Alla fine di marzo del 1527, Clemente VII firmò una tregua con l’Impero, ma ormai Carlo di Borbone, luogotenente dell’Impero, a capo dell’esercito di Carlo V, aveva promesso il Sacco ai suoi soldati e non poteva più tornare indietro. Inoltre, i soldati erano stremati da lunghi mesi di marcia in condizioni precarie. Il freddo non cessava, mancava il cibo, non venivano pagati da diverso tempo, il malcontento iniziava a serpeggiare tra le truppe, tanto che iniziarono a ribellarsi ai propri ufficiali. Rimasti senza prostitute, che avevano lasciato l’esercito a causa della precarietà della situazione, e senza tutte le figure che accompagnavano le truppe, come vivandieri, artigiani e commercianti, i soldati erano sul punto di esplodere: nulla più poteva trattenerli.
Il 25 marzo 1527, l’imperatore Carlo V mandò al suo esercito la notizia della pace concordata con Clemente, insieme all’ordine di ritirarsi e ad un’offerta scarsa e tardiva, costituita da una minima parte della paga dovuta, distribuita solo in rate nei mesi successivi: tre ducati a testa e la legge di Maometto, ovvero il saccheggio illimitato, era l’offerta dall’Imperatore. Volutamente, Carlo V lasciava i soldati nelle condizioni in cui si trovavano al fine di trasformarli in belve inferocite, nella speranza che la minaccia di un attacco da parte loro fosse sufficiente a costringere il papa a rinunciare all’alleanza con la Francia, senza pertanto muovere un ufficiale attacco a Roma
Nel frattempo, il Papa, convinto di aver raggiunto la pace, licenziò le truppe delle Bande Nere che proteggevano Roma, lasciando, così, la città incustodita.
Il 6 maggio 1527, circa trentamila soldati assetati d’oro e sangue arrivarono a Roma, trovando solo cinquemila uomini impreparati a contrastarli e cogliendo di sorpresa una città convinta della pace. I lanzichenecchi, desiderosi di annientare la città, saccheggiando, distruggendo e depredando, scatenarono un vero e proprio inferno. Roma attese per giorni l’intervento degli alleati che non arrivò mai.
Mentre le strade della città venivano messe a ferro e fuoco, Clemente si rifugiò a Castel Sant’Angelo. Il sacco continuò per un mese intero, nel quale i Lanzi furono spietati: profanarono chiese, violentarono donne e monache, incendiarono palazzi e sterminarono la popolazione, depredando le abitazioni, sfogando tutta la propria furia contro la Roma che odiavano. La popolazione fu sottoposta a ogni tipo di violenza e di angheria. Le strade erano disseminate di cadaveri e percorse da bande di soldati ubriachi che si trascinavano dietro donne di ogni condizione, e da saccheggiatori che trasportavano oggetti rapinati.
Le ragioni che indussero i mercenari germanici ad abbandonarsi a un saccheggio così efferato e per così lungo tempo risiedono nella frustrazione per una campagna militare fino ad allora deludente e, soprattutto, nell’acceso odio che la maggior parte di essi, luterani, nutrivano per la Chiesa cattolica. Inoltre, a quei tempi i soldati venivano pagati ogni cinque giorni, cioè per “cinquine”. Quando però il comandante delle truppe non disponeva di denaro sufficiente per la retribuzione delle soldatesche, autorizzava il cosiddetto “sacco” della città, che non durava, in genere, più di una giornata. Il tempo sufficiente, cioè, affinché la truppa si rifacesse della mancata retribuzione. Nel caso specifico, i lanzichenecchi non solo erano rimasti senza paga, ma erano rimasti anche senza il comandante. Infatti il Frundsberg era rientrato precipitosamente in Germania per motivi di salute e il Borbone era rimasto vittima sul campo. Senza paga, senza comandante e senza ordini, in preda a un’avversione rabbiosa per il cattolicesimo, fu facile per i soldati abbandonarsi al saccheggio per un così lungo tempo della non più eterna Roma. Se Carlo di Borbone non fosse morto il giorno in cui hanno invaso Roma, forse il sacco sarebbe finito in breve tempo e i danni sarebbero stati minori.
A gran voce, i Lanzi chiesero la deposizione del Papa, ma Carlo non lo fece: a Clemente fu chiesta un’enorme somma di denaro per far cessare l’Apocalisse. Il 5 giugno, il Papa acconsentì al pagamento della somma richiesta e si arrese, lasciandosi imprigionare in un palazzo in attesa che venisse versato quanto pattuito. Il 7 dicembre, un gruppo di cavalieri assaltarono il palazzo e liberarono il pontefice.
Roma restò occupata fino a dicembre, quando tra le file dei Lanzi scoppiò la peste. Alla fine di quell’anno tremendo, la popolazione romana fu ridotta quasi alla metà dalle circa ventimila morti causate dalle violenze o dalle malattie. Al tempo del “Sacco”, infatti, la città di Roma contava, secondo il censimento realizzato tra la fine del 1526 e l’inizio del 1527, poco più di cinquantacinquemila abitanti: una tale esigua popolazione era difesa da circa cinquemila uomini in armi e dai 189 mercenari svizzeri che formavano la guardia del pontefice e che si fecero trucidare per permettere a Clemente VII di mettersi in salvo. Le carenze manutentive all’antica rete fognaria avevano trasformato Roma in una città insalubre, infestata dalla malaria e dalla peste bubbonica. L’improvviso affollamento causato dalle decine di migliaia di lanzichenecchi aggravò pesantemente la situazione igienica, favorendo oltre misura il diffondersi di malattie contagiose che decimarono tanto la popolazione, quanto gli occupanti. I palazzi furono depredati, le opere d’arte rubate o distrutte. Il ritiro vero e proprio dei saccheggiatori, però, avvenne solo a metà febbraio dell’anno successivo, dopo che era stato saccheggiato il saccheggiabile e non vi era più possibilità di ottenere riscatti, ma anche a causa della peste diffusasi dopo mesi di bivacco e delle diserzioni di molti soldati

Dopo questo gravissimo episodio, si determinò un periodo di povertà nella Roma del XVI secolo, tanto che il 6 maggio 1527 viene ricordato come il giorno che pose fine al Rinascimento. Un evento tremendo che segnò gravemente la Città Eterna, fino ad allora scrigno di ricchezza, bellezza e maestosità.

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