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Tornei e giostre medievali

Riprendiamo il viaggio nel mondo della cavalleria medievale affrontando l’affascinante tema delle giostre e dei tornei, che popolano film e romanzi.

Non si conosce con esattezza la data in cui nacquero i tornei, ma si ritiene plausibile collocare la loro comparsa poco dopo l’anno Mille, in Francia. E la loro funzione era l’addestramento dei cavalieri all’equitazione e alla guerra. Infatti, il torneo metteva il cavaliere in una reale situazione di combattimento, di cui costituiva una prova generale, in quanto, prima del Duecento, esso non si differenziava molto dalla battaglia.

Ma partiamo dal termine torneo. Probabilmente, descrive il movimento fatto dai cavalieri dopo la carica per preparare la successiva, ma ricorda anche il loro girovagare da un luogo all’altro per parteciparvi. Ed erano, inizialmente, utilizzati come surrogato della guerra in un periodo nel quale il rafforzamento dell’autorità regale iniziò a limitare i conflitti locali e, di conseguenza, i profitti dei cavalieri.

Come si svolgevano? Il torneo non era uno scontro individuale, bensì collettivo; come la battaglia, opponeva due eserciti formati da cavalieri, pedoni, scudieri, arcieri e garzoni e l’area di gioco era grande e aperta e comprendeva campi, pascoli, boschi, praterie, villaggi ed anche una cittadina con la funzione di campo base. Questa riunione durava parecchi giorni, ognuno con una funzione precisa. Il primo giorno serviva per i preparativi e per la formazione dei gruppi; il secondo era caratterizzato da piccole sfide individuali, nelle quali i giovani provocavano gli avversari, incitandoli ad avvicinarsi per combattere. Successivamente, veniva il turno della mischia, composta da diverse fasi: assedio, assalti, sortite, imboscate, attacchi frontali e fughe simulate. Pertanto, era molto simile alla guerra, ma con regole differenti. Infatti, nel caso del torneo, il fine non era uccidere, ma vincere, catturare e conquistare e i cavalieri avevano il compito di disperdere gli squadroni avversari per isolare qualche elemento, rendendolo facile da catturare.

Ciò avveniva quando un cavaliere afferrava il cavallo dell’avversario per il morso o agguantava il soldato per la vita trascinandolo verso le proprie linee. Infatti, in ogni campo, erano presenti i ricetti, ossia zone di ripiegamento dove era possibile trovare rifugio, curare le ferite, riprendere le forze, rifornirsi di armi e cavalli e depositare il bottino conquistato, consistente in armi, cavalli e uomini catturati sul campo; bottino che veniva spartito al termine del torneo.

La collettività del combattimento serviva a rafforzare la coesione degli squadroni, in quanto le prodezze individuali esponevano i cavalieri al maggior rischio di essere catturati. Tuttavia, i gesti individuali erano spesso determinanti, tanto che i migliori cavalieri erano contesi dalle varie squadre, proprio come accade nel calcio moderno.

Nei tornei più antichi, il pubblico era poco presente e assisteva al gioco, solitamente, dall’alto delle torri. Nel XII secolo, però, si trasformarono in eventi mondani e iniziò a dilagare la figura del menestrello, che cantava le prodezze dei cavalieri e che diventò uno specialista indispensabile. Infatti, essi conoscevano i cavalieri e sapevano distinguerli dalle sole insegne, che iniziarono a svilupparsi, li annunciavano e ne tributavano le lodi. Successivamente, si trasformarono in araldi d’armi, formando una corporazione, esperti in combattimenti, vita militare, armature, armi e usi cavallereschi, con il compito di dirimere le controversie, dettare le regole di giostre e tornei e designare i vincitori.

I tornei erano molto importanti perché permettevano ai signori di sperimentare nuove tattiche e ai cavalieri di consolidare la coesione collettiva e le tecniche personali. Inoltre, potevano aumentare il prestigio dei signori, attraverso il reclutamento dei combattenti migliori, tanto che dal XII secolo, il reclutamento divenne materia di contratti con i quali un cavaliere poteva essere ingaggiato per un torneo di prova, per molti tornei, per una stagione, per molti anni o anche a vita, entrando così nella casa del signore e garantendosi un impiego duraturo, anche in tempo di pace. A questi contratti aspiravano soprattutto i cavalieri più modesti che gareggiavano con grande impegno per attirare l’attenzione dei signori.

Un’altra opportunità era legata ai tornei organizzati dai grandi signori con il fine di trovare uno sposo per la propria figlia. In queste occasioni, i cavalieri modesti ma valorosi potevano beneficiare di un’ascesa sociale e di una promozione economica.

Inoltre, i tornei permettevano di vivere di spada anche in assenza di guerre. Infatti, se è vero che i vinti potevano perdere cavallo, armatura e prezzo del riscatto, indebitarsi a vita e, se non avevano i mezzi per riscattarsi o per sostituire gli strumenti di lavoro, perdere lo status di cavalieri, i vincitori potevano elevarsi, crearsi una carriera e arricchirsi. Bisogna, infatti, ricordare che i vincitori guadagnavano tutta l’attrezzatura dell’avversario, nonché il prezzo del riscatto dello stesso. In alcune e ben ponderate occasioni, però, alcuni cavalieri rinunciavano al denaro liberando gratuitamente l’avversario, in quanto simili gesti procuravano gloria, attiravano conoscenze e consolidavano la reputazione.

All’inizio del Duecento, l’addestramento dei cavalieri mutò e il torneo divenne meno professionale e più mondano, anche a causa dell’influenza romanzesca dei poeti di corte, che iniziarono a diffondere l’ideologia cavalleresca. Infatti, per la preparazione si ricorse all’esercizio specifico della quintana, consistente in un palo fisso che sostiene un braccio orizzontale al quale, ad una estremità, era situato un bersaglio da colpire (piccolo scudo), mentre all’altra era posta una mazza: il cavaliere doveva colpire con l’arma lo scudo ed evitare il colpo di ritorno della mazza.

Le grandi mischie collettive, quindi, si eclissarono a favore della giostra, ossia la sfida individuale, codificata e gratuita a noi più conosciuta, nella quale i cavalieri combattevano spesso solo con la lancia, che divenne sempre più lunga e pesante, con lo scopo di disarcionare l’avversario.

Da questo momento, lo spirito di casta dei cavalieri si consolidò, anche a causa dello sviluppo dell’araldica, chiudendosi ai non nobili: per partecipare a giostre e tornei, i cavalieri dovevano avere quattro quarti di nobiltà delle linee paterne e materne.

Dopo aver affrontato questo breve viaggio nel mondo dei tornei, possiamo affermare che quelli ai quali ci ha abituato il cinema corrispondono, seppur prendendo a prestito aspetti di epoche diverse, alle giostre di Tre-Quattrocento; i tornei di XI, XII e XIII secolo erano ben differenti.

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